Nascita e sviluppo dell’insediamento minerario
 

I precedenti storici e protoindustriali della zona mineraria di Monteponi sono sommariamente noti. 
Le prime notizie e i ritrovamenti archeologici testimoniano una intensa coltivazione da parte dei Cataginesi e dei Romani attorno ai più importanti giacimenti dei minerali di piombo e zinco lungo la costa sud-occidentale dell’Isola, e, in particolare di quelli ricchissimi di Monteponi e Montevecchio.

I Pisani a partire dal XIII° secolo si interessarono attivamente all’attività estrattiva e in un periodo di notevole stabilità politica e di ripresa economica per la città di Iglesias, recuperarono le tracce dei lavori romani aprendo centinaia di fosse che raggiunsero spesso notevoli profondità, ottenendo

risultati apprezzabili.  La prima menzione della località, col toponimo di Monte Paone”, è del 1326;

 

 

successivamente denominato “Monte Luponi” o “Monte de Pony”, Monteponi acquista nel 1649 il suo attuale toponimo.
L’attività estrattiva, dopo la felice parentesi pisana e i convulsi eventi bellici con la crisi economica e politica che seguirono, fu tuttavia molto modesta; durante il dominio aragonese e spagnolo sull’Isola la coltivazione delle cave fu pressochè abbandonata e i lavori eseguiti sembra siano stati molto modesti.
I primi anni del governo sabaudo coincisero con una innovata attenzione verso il problema e determinarono una nuova serie di tentativi e studi volti anche ad individuare i maggiori vantaggi nell’alternativa, sempre in discussione, tra la concessione a privati e gestione diretta dello Stato.
Nel 1721 venne accordata una concessione generale di tutte le miniere sarde alla Società Nieddu e Durante per un periodo di venti anni che si dedicò con discreto successo anche allo sfruttamento di Monteponi oltrechè di alcuni giacimenti più ricchi dell’Iglesiente.

A causa dei contrasti tra la Società e il governo, quando nel 1741 la concessione venne a scadere, non fu rinnovata, e, passò alla società diretta dallo Svedse C.Gustavo Mandel che ottenne un contratto della durata di trenta anni fino al 1772.

Il Mandel servendosi inizialmente di esperti operai tedeschi, e successivamente di maestranza locale, ottenne rapidamente buoni risultati. A Monteponi si prese ad operare intorno alla galleria San Vittorio ove fu introdotto nel 1744, per la prima volta in Sardegna l’uso delle mine. Alla morte del Mandel nel 1759, il lavoro fu ripreso dall’Avv. A. Vincenzo Mameli che se ne occupò con abilità e intelligenza fino al 1762. Dopo quella data la direzione fu assunta dall’ingegnere militare De Belly che già nel 1759 si trovava in Sardegna e, per conto del governo aveva studiato in dettaglio la situazione delle miniere.

I successivi trent’anni di gestione dello Stato diretta dal De Belly, non videro risultati eccezionali e numerose miniere furono abbandonate perché ritenute improduttive a partire dal 1782.

Nonostante la decisione nel 1784 di servirsi dei forzati per i lavori di estrazione, anche a Monteponi l’attività estrattiva non ottenne risultati incoraggianti.
 

Alla sua morte, nel 1791, De Belly fu sostituito da Rollando, già direttore della miniera di Monteponi. Il precipitare delle vicende politiche di quegli anni decretò tuttavia la quasi completa paralisi di tutti i lavori minerari che raggiunsero alla fine del secolo le punte minime determinando la chiusura di numerose fonderie e miniere.

Un successivo tentativo fu compiuto dal sovrintendente delle miniere Cav. Vichard di Saint Real nel 1804 che riprese i lavori sospesi a Monteponi e realizzò un ribasso sotto la galleria San Vittore che non ebbe alcun seguito e fu sospeso l’anno successivo per le difficoltà economiche dell’erario statale.

Nel 1806 il governo diede ancora in concessione venticinquennale le miniere di Monteponi e di Montevecchio ad una società privata costituita dal Conte E. Vargas di Kiel con altri soci e i lavori furono immediatamente ripresi con grandi speranze, per essere sospesi dopo soli tre anni per revoca della concessione alla Società Vargas resasi inadempiente.

Il successivo periodo di gestione statale, volto esclusivamente all’estrazione di minerale a Monteponi, fu condotto con la consueta incompetenza e produsse per ben 17 anni un bilancio deficitario.
 

Nel 1825 fu inviato in visita in Sardegna l’esperto Sig. Despine ispettore delle Miniere e Fonderie di Tarentaise e della scuola di Muttiers, in Savoia, che dovettero constatare la completa rovina dell’industria mineraria sarda dopo un secolo di tentativi di coltivare le miniere in amministrazione diretta e da appaltare ad imprese che risultavano sempre inadempienti.

In una successiva visita, nel 1829, l’Ing. Francesco Mameli compilò un’accurata relazione che confermava le conclusioni del Despine ripercorrendo il lungo periodo di insuccessi dell’annessione della Sardegna ai Savoia, e indicò, nella costituzione di società industriali, il mezzo per la ripresa e lo sviluppo delle attività estrattive nell’Isola.

Un manifesto del 1836 emanato dalla Reale Giunta patrimoniale per favorire il ritorno delle miniere all’iniziativa privata, è la prova che occorsero alcuni anni perché l’idea trovasse un seguito nella volontà politica.
 

La legge sulle miniere, approvata nel 1840, stabilì finalmente che solo lo Stato aveva diritto di accordare concessioni ai privati sui giacimenti minerari (che restano comunque un suo patrimonio) e sancì che il proprietario del suolo non ha la proprietà del sottosuolo, sicché non ha alcun diritto sugli utili d’impresa spettandogli solo un risarcimento dei danni eventualmente causatigli.

Questa legge non ebbe immediati riflessi in Sardegna ove si conservavano ancora le antiche autonomie e privilegi e fu estesa all’Isola solo dopo il 1848 come conseguenza dell’attività opera riformatrice di Carlo Alberto e determinò la decisione degli Stamenti di rinunciare alle autonomie e divenire, da quella data, una provincia del Regno.

La conseguenza immediata della nuova legge mineraria, fu quella di richiamare l’attenzione della nuova borghesia industriale su questo settore, e quando il 15 febbraio del 1850, il governo mise all’asta la miniera di Monteponi, questa fu concessa per trent’anni alla società appositamente costituita con il nome di “Società di Monteponi Regia Miniera presso Iglesias in Sardegna” con sede in Genova e presidente il signor Antonio Nicolay.
 

Nel capitolato per l’affitto del complesso di Monteponi si precisava che il patrimonio immobiliare era costituito da un terreno di circa 100 are, i fabbricati esistenti, le gallerie e una notevole superficie per l’estensione dei lavori.

Nei programmi della Società doveva realizzarsi un’attività metallurgica ad integrazione di quella estrattiva per sfruttare, attraverso la realizzazione di una fonderia, i vantaggi che presenta l’esercizio della metallurgia in situ. Nasce così e si sviluppa rapidamente la prima vera industria estrattiva e metallurgica in Sardegna, quella di Monteponi, condotta per la prima volta, con moderni criteri imprenditoriali che puntavano sugli investimenti finalizzati alla crescita della produzione, razionalizzavano attraverso continue sperimentazioni i sistemi di estrazione e trasformazione delle materie prime, preparavano le maestranze ai compiti sempre più difficili cui erano chiamate, realizzavano infrastrutture e collegamenti sempre più efficienti aumentando ad un ritmo vertiginoso la produttività e gli aumenti di capitale.
 

E in definitiva in tutta l’Europa il passo decisivo sulla strada dell’industrializzazione della società moderna seguì le medesime direttrici ed ebbe come conseguenza la concentrazione di materie prime, uomini e macchine in una struttura più o meno complessa realizzata opportunamente ai fini produttivi; una struttura che si insediava in un paesaggio fino ad allora modellato dalle attività agricole o in molti casi, come in Sardegna, neanche contaminato nelle sue componenti naturalistiche.

Nel caso dell’industria mineraria questo rapporto fabbrica-territorio assume un’importanza determinante, ancora oggi evidentissima, essendo strettamente condizionata dalla reperibilità della materia prima; e, l’aspetto fisico della “fabbrica” finisce con l’essere “costruito” dalle caratteristiche geologiche del suolo, dall’andamento delle vene metallifere e dai tortuosi percorsi che queste impongono. Le forme dei camini usati per disperdere i fumi, le bocche dei forni, gli impianti di carica e scarica, i carrelli e le rotaie, i magazzini, i depositi e le attrezzature di sollevamento, costituirono gli elementi distinti e pur perfettamente integrati del nuovo paesaggio industriale, profondamente segnato dagli effetti geologici e biologici prodotti sull’ambiente naturale.

Il complesso minerario Monteponi costituì nell’Iglesiente, ma certamente anche su scala internazionale uno degli esempi più significativi in tal senso: una struttura in cui la cospicua e multiforme presenza di segni della attività industriale ha prodotto il sovvertimento globale delle caratteristiche originali del territorio e la nascita di un paesaggio industriale totalmente artificiale; ma anche una struttura fortemente stratificata in cui le rapide modificazioni dei processi estrattivi e delle tecnologie hanno determinato, dalla seconda metà del XIX secolo le sovrapposizioni di diversi e nuovi elementi che sono cresciuti con un processo di addizione capace di ricostruire di continuo l’architettura e il paesaggio. Ma ancor più Monteponi costituisce una struttura produttiva emblematica per ripercorrere la vicenda civile di intere popolazioni che hanno determinato la formalizzazione fisica dell’ambiente nel quale ancora oggi viviamo, attraverso l’affinarsi della loro cultura materiale e lo sviluppo della loro coscienza di classe.
 

L’impostazione che fin dall’inizio si volle dare alla nascente industria di Monteponi, proiettata verso un’integrazione dell’attività estrattiva con quella metallurgica, si rivelò ben presto coerente e proficua.

Per realizzare la prima fonderia della Società fu acquistata nel 1850 la tenuta di Canonica di proprietà dei Conti Baudi di Vesme; nello stesso anno per risolvere il difficile problema del trasporto dei materiali, inizialmente avviati al porto di Cagliari con mezzi a trazione animale, fu realizzata una strada di collegamento con la rada di Fontanamare riducendo così di molti chilometri il percorso dei mezzi di trasporto dei minerali che venivano poi avviati al porto di Carloforte divenuto il punto di imbarco per l’Italia e per l’estero.
 

Contemporaneamente sotto la guida dei primi tecnici inviati a Monteponi, l’Ing. Keller, a partire dal 1852 e l’Ing. Fabri, dal 1856, furono abbandonate le vecchie e antieconomiche tecniche di coltivazione dei minerali e introdotte le nuove tecnologie dell’arte minerarie, già sperimentate con successo all’estero e capaci di conseguire una maggiore produttività.

Furono intanto introdotti i rilievi topografici che permettevano di studiare in modo più razionale l'andamento degli affioramenti e quindi di progettare meglio i lavori di scavo e ricerca.
 

Nel 1853 fu realizzata la prima laveria sarda a mano capace di trattare grandi quantità di minerali a basso tenore piombifero fino a quel momento rimasti inutilizzati e negli anni successivi furono avanzate con grande celerità le gallerie Nicolay e Villamarina dotandole di rotaie e vagoncini per il trasporto dei materiali.
 

Nel 1861, dopo i primi anni di assestamento della Società, la direzione della miniera fu assunta dall’Ing. A. Pellegrini e la presidenza passò nelle mani del Baudi di Vesme, mentre le azioni, trasferitesi velocemente nelle mani di capitalisti piemontesi, determinarono nel 1864 il trasferimento della sede sociale da Genova a Torino.

Gli anni successivi, sotto la guida del Pellegrini, furono caratterizzati dall’introduzione del sistema del cottimo e dall’aumento vertiginoso degli addetti, della produzione e degli utili.
 

Nel 1863 fu iniziato il ribasso Vesme e il pozzo principale di estrazione denominato di “Vittorio Emanuele II”; nel 1867 furono realizzate due nuove laverie a mano, quella di Nicolay e di Vilamarina, e nel 1874 si progettò una nuova laveria meccanica, realizzata nell’anno successivo.
 

Nel 1865 era stata pertanto scoperta l’importanza della calamina dall’Ing. Eyquem che a Buggerru aveva localizzato vasti giacimenti di questo minerale di zinco.

Il Pellegrini, esplorati negli stessi anni gli affioramenti di Monteponi, ne individuò consistenti giacimenti e organizzò immediatamente la coltivazione del nuovo minerale.

Il vantaggio economico di vendere le calamine calcinate e non crude, rese necessaria la realizzazione di immensi forni di calcinazione, che furono costruiti negli anni successivi.

Con l’acquisto della miniera di San Giorgio, nel 1867, di proprietà francese, la Monteponi si ingrandì notevolmente e consentì di aumentare a ritmi frenetici la produzione di calamina calcinata, rettificando il grande pozzo già esistente poi denominato di “Santa Barbara”.  
 

I minerali di zinco, poiché in Italia mancavano le fonderie, venivano esportati in Belgio, in Prussia ed in Inghilterra. Il notevolissimo impulso all’estrazione determinato dalla nuova produzione di calamine, rese rapidamente insufficienti i collegamenti stradali e desueti i sistemi di estrazione, prosciugamento dei pozzi e lavaggio dei materiali.

La Monteponi affrontò il problema della viabilità costruendo nel 1870 una ferrovia privata sul tratto Gonnesa-Portovesme, già funzionante l’anno successivo, con tre locomotive giunte dall’Inghilterra.

Il problema dell’estrazione dei minerali dai pozzi fino allora effettuato con argani manuali e con l’impiego di animali fu reso più rapido con l’utilizzazione, nel 1869, di una macchina a vapore proveniente da Liegi, sistemata in un nuovo fabbricato progettato dall’Ing. Stiglitz.
 

Nello stesso anno entravano in servizio due pompe a vapore, ed un’altra di maggiore capacità, nel 1872, che eliminando l’acqua del pozzo Vittorio Emanuele, consentivano di raggiungere ulteriori approfondimenti.

L’impiego su larga scala della dinamite, da poco diffusa in Italia dopo le sperimentazioni del Nobel, avvenne a partire dal 1869 e consentì un notevolissimo incremento della lunghezza gallerie, della profondità dei pozzi nonché dell’abbattimento di ingenti volumi di roccia nella parte più a monte della miniera.

Per ottenere una maggiore velocità di perforazione delle rocce furono montate tre perforatrici Burleigh e un compressore d’aria, azionato a vapore, che anticipò di mezzo secolo l’impiego di un mezzo di trasmissione di energia motrice, oggi largamente diffuso.
 

Le sempre maggiori difficoltà di estrazione e soprattutto di pompaggio dell’acqua mano a mano che i livelli di scavo si approfondivano, costringevano ad affrontare un’incessante lotta col tempo e spingevano ad una affannosa ricerca di nuovi metodi e avanzamenti tecnologici.

Due nuove e potentissime pompe furono installate nel 1872 per un nuovo pozzo denominato “Quintino Sella” e nel 1873 e 1874 fu costruito il fabbricato necessario ad ospitarle assieme alle caldaie.

Negli stessi anni venne ripresa la costruzione del secondo tronco della ferrovia che doveva essere completato collegando Gonnesa a Monteponi e contemporaneamente avviata la costruzione del grande piano inclinato che collega la stazione della ferrovia in fondo valle, col piazzale Nicolay della miniera superando cento metri di dislivello, per consentire il transito dei vagoni ferroviari.

Tra le altre grandiose iniziative intraprese in quegli anni deve ricordarsi la costruzione dell’acquedotto di Monteponi e l’acquisto di una miniera di lignite a Fontanamare, che riuscirono a rendere Monteponi del tutto autonoma per gli approvvigionamenti idrici e di energia.
 

L’incremento vertiginoso dell’attività di estrazione spinto dalle innovazioni tecnologiche e dai poderosi investimenti realizzati non determinò soltanto la realizzazione delle infrastrutture che abbiamo descritto o l’occasionale costruzione di depositi e magazzini per l’installazione degli impianti. In quello stesso periodo furono infatti compiuti notevoli sforzi di razionalizzazione della complessa struttura territoriale, in fondo ancora condizionata dall’irregolare andamento dei pozzi e delle escavazioni del periodo protoindustriale. Tra questi assume un valore emblematico l’Ospedale della miniera e la sede della direzione e abitazione dei dirigenti, realizzata nel 1865, che è costituita da un palazzetto con impianto planimetrico a “C” di impostazione classicheggiante e in posizione panoramica che le derivò la denominazione di “Bella Vista”. 
 

Il passaggio della direzione dal Pellegrini all’Ing. E. Ferraris nel 1875 segnò la fine del periodo “eroico” di Monteponi che disponeva già di strade, edifici volti alla soddisfazione dei complessi bisogni della comunità, di una ferrovia, di un porto e, già in atto, un’attività premetallurgica destinata a mutarne l’aspetto nei successivi decenni.

In quegli stessi anni scadeva la concessione trentennale alla miniera e dopo lunghe trattative il futuro di Monteponi fu deciso da una legge, fortemente caldeggiata da Quintino Sella in Parlamento che nel maggio del 1880 consentì allo Stato di vendere la concessione alla Società Monteponi per Lire 1.115.000, a condizione che la Società si assumesse l’onere di costruire le gallerie di scolo che avrebbe dovuto abbassare il livello delle acque di tutto il bacino imbrifero dell’Iglesiente. La galleria di scolo, denominata “Umberto I”, fu realizzata a partire dal 1880 e portata avanti con sollecitudine e grande lungimiranza con un tracciato complessivo di metri 4.250 che fu concluso soltanto nel 1889.
 

Il processo di potenziamento delle strutture produttive fu contemporaneamente accelerato per fronteggiare una generalizzata caduta dei prezzi del piombo e dello zinco intorno al 1877 e che si protrasse fino al 1885 per effetto della sovrapposizione sul mercato mondiale di quei due metalli.

E così nel 1881, furono introdotte le perforatrici rotative ad acqua compressa; fu costruita una seconda laveria meccanica, la “Sacchi”, che consentiva di trattare i minerali misti e di recuperare i fanghi argillosi dai bacini di decantazione impiegati per fare tegole e mattoni di consumo locale; e nel 1883 infine, l’illuminazione elettrica con lampade ad incandescenza sistema Swan e macchina dinamo-elettrica Siemens, che consentirono alle laverie meccaniche di essere illuminate elettricamente.

La caduta dei prezzi accennò ad arrestarsi a partire dal 1886 e si stabilizzò ulteriormente negli anni successivi.

L’effetto più evidente della crisi era stato la liquidazione in pochi anni delle imprese più piccole ed un progressivo processo di concentrazione delle attività attorno ai gruppi industriali finanziariamente più potenti e tecnologicamente più avanzati.

A Monteponi i lavori ripresero con rinnovata intensità promuovendo nuovi investimenti. Nel 1887 fu messa in funzione la nuova laveria “Calamine” cui fu annessa, nel 1889, la laveria magnetica, interessante esempio di applicazione della tecnologia del ferro. Nel 1893 fu instaurata la nuova laveria “Mameli” che, dotata di tavole a scossa ideate dal Ferraris e di mulino a sfere per la macinazione dei granuli fini, fu brevettata e sostituì le precedenti ottenendo grande diffusione in tutta Europa. Una nuova caduta dei prezzi nel 1893-95, dovuta ad avverse congiunture internazionali, fu subita da tutte le società e superata soltanto da quelle con una forte concentrazione di capitali in atto.
 

La successiva straordinaria ripresa fu sostenuta dal massiccio impiego dell’energia elettrica applicata alle perforatrici e all’accensione elettrica delle mine, ma ancor di più all’attività metallurgica, che ebbe un rapidissimo incremento proprio in quegli anni e determinò le ultime più importanti trasformazioni del paesaggio industriale di Monteponi.

Già nel 1894, l’installazione di una fonderia elettrica consentì di produrre ingenti quantitativi di piombo, accogliendo per molti anni i minerali di zinco ottenne egregi risultati, rimanendo in esercizio fino al 1907.

I migliori risultati nel settore della metallurgia dello zinco furono raggiunti, pur con notevole ritardo rispetto ai paesi europei in cui venivano esportati minerali sardi, dallo studioso Francesco Sartori, che si occupò di Monteponi a partire dal 1805.

Il sistema sperimentale del Sartori capace di trattare i minerali di zinco per ricavarne metallo sotto forma di ossido, condusse, dopo numerosi tentativi falliti, alla realizzazione dell'impianto dello Stabilimento di Scalo, sorto nel 1914 e perfezionato nel 1917.

Nel 1900 la Monteponi si presentò con successo, insieme alle consorelle Montevecchio e Malfidano, alla Esposizione Universale di Parigi e nel 1906 riceveva la medaglia d’oro dell’Esposizione Universale di Milano.
 

Gli eventi della prima guerra mondiale e le successive difficoltà economiche costrinsero ad una momentanea interruzione di tutte le attività, rivelando contemporaneamente l’immediata necessità di aumentare la produzione dello zinco per far fronte alle ingenti richieste dell’industria bellica, dopo il blocco delle importazioni dal Belgio e dalla Germania.

L’interesse per l’attività metallurgica crebbe notevolmente fondata anche sulle speranze di sviluppo indotte dalla nuova centrale termoelettrica di Portovesme, che era entrata in funzione proprio nel 1914 per iniziativa della Società Elettrica Sarda.

Negli anni successivi la metallurgia ricevette un ulteriore impulso dalle sperimentazioni del procedimento dell’elettrolisi che consentiva di ottenere lo zinco metallico di notevole purezza e che finì col modificare ulteriormente l’aspetto architettonico del complesso.
 

A partire dal 1920 la Monteponi decise di intraprendere la nuova via dell’elettrolisi al fine di valorizzare le enormi masse di calamina del giacimento di Campo Pisano non utilizzabili altrimenti in modo economicamente remunerativo per il basso tenore di zinco.

Il nuovo impianto fu avviato nel 1923 e ultimato nel 1926, utilizzando la centrale idroelettrica del Coghinas che la Società Elettrica Sarda stava completando e che poteva fornire i trenta milioni di Kwh. necessari al funzionamento dello stabilimento.

Negli stessi anni l’attività estrattiva conobbe un ulteriore impulso grazie all’introduzione di altre innovazioni tecnologiche e conseguenti investimenti tra cui ricordiamo la vasta rete di installazione interne di Locomotive elettriche, il nuovo impianto di flottazione il linea con i migliori esempi europei che rendevano possibili l’utilizzazione di cantieri prima forzatamente trascurati, e una fabbrica di acido solforico installata nel 1928 a Saclo per sopperire alla necessità dell’impianto elettrolitico.

Nonostante la grande crisi che investì il settore minerario italiano dalla fine degli anni 20 in poi, la Monteponi accentuò i suoi piani di espansione e nel 1931 avviò con successo il reparto per la produzione del Cadmio fornendo all’Italia i primi quantitativi di tale metallo.
 

La società disponeva a quel punto di un villaggio operaio realizzato con intelligenza e razionalità, affiancato dalle villette dei dirigenti e degli impiegati e da altri edifici minori, come lo spaccio, l’asilo, l’infermeria e la cappella che erano cresciuti nel tempo dotando l’industria di tutti i servizi indispensabili alla vita di centinaia di lavoratori.

La politica economica autarchica avviata dal regime fascista in quegli anni, si dimostrò occasionalmente favorevole agli interessi della Sardegna e a partire dal 1934 i lavori ripresero con alacrità e si intensificarono.

Il successivo periodo di crescita e costruzione di nuovi impianti, come quello di flottazione per il recupero dei fanghi della laveria Mameli, e di numerosi altri, coincise purtroppo con la rimozione di numerose strutture ottocentesche ormai desuete e da tempo inutilizzate, come la laveria “Calamine” e la laveria “Vittorio Emanuele”, e con l’introduzione delle nuove tecnologie del cemento armato, che sostituirono in gran parte quelle del legno, del mattone e del ferro che avevano configurato l’architettura del complesso di Monteponi dalla metà dell’Ottocento in poi.

Il tracollo dell’industria mineraria nell’immediato dopoguerra fu un evento inevitabile e ciò che rimane di Monteponi è in fondo il risultato di quell’interruzione in un processo di crescita che per cento anni era sembrato irresistibile.

 

 

Il patrimonio di edilizia civile e industriale
 

Come già detto la storia moderna della miniera prende avvio dalla seconda metà dell’Ottocento, con la nascita della Società di Monteponi, fondata a Genova nel 1850 da un gruppo di ricchi imprenditori guidati dal banchiere genovese Paolo Antonio Nicolay e con l’acquisizione di una concessione trentennale durante la quale si pongono le basi per l’avvio della fase industriale.

E’ tuttavia con l’arrivo dell’Ing. Adolfo Pellegrini nel 1861 che inizia un periodo “glorioso” che coincide con una serie di investimenti volti alla costruzione di nuove infrastrutture, all’ammodernamento tecnologico di quelle esistenti, nonché al miglioramento delle condizioni lavorative ed abitative dei dipendenti.
 

Nel 1865 sorse la Palazzina Bellavista, elegante edificio destinato ad accogliere gli uffici e le abitazioni dei dirigenti della Società e contemporaneamente a simboleggiare il prestigio economico raggiunto. Negli stessi anni vennero costruiti un ospedale e le prime abitazioni operaie del tipo “a cameroni”. Le laverie sorgevano in prossimità degli imbocchi dei cantieri più importanti: “si moltiplicarono le laverie a mano -che raggiunsero il numero di quattordici - e nel 1867 fu smantellata quella di Fontanacoperta – una delle due più antiche con quella di San Real – trasportandone i crivelli in due stabilimenti nuovi cui si diede il nome di Nicolay e Villamarina; nel 1874 si progettò una nuova laveria meccanica, portata a termine l’anno seguente”. L’Ing. Stiglitz progettava il fabbricato del Pozzo Vittorio Emanuele, la cui costruzione risale al 1869; nel 1871 inizia il suo regolare servizio la ferrovia privata Monteponi-Portovesme (il primo tronco a cui seguirà nel 1874-75 il secondo tratto di collegamento Gonnesa-Moneteponi).
 

Un altro capitolo importante per la storia della miniera è legato all’opera dell’Ing. Erminio Ferraris, a cui si devono: la costruzione di nuove laverie meccaniche e la trasformazione di quelle manuali, la realizzazione della Fonderia per piombo, l’apertura della galleria Umberto I e tutta una serie di opere assistenziali, tra cui l’asilo e la ristrutturazione dell’ospedale. Nel secondo decennio del Novecento venivano avviati dalla Società di Monteponi i primi grossi interventi pianificati per la costruzione di case popolari, in prossimità della città di Iglesias.

Da quanto riportato dal Corbetta che visitò la miniera di Monteponi nella seconda metà dell’Ottocento possiamo farci un’idea delle condizioni abitative delle prime maestranze minerarie, costrette a coabitare in baracche provvisorie edificate in prossimità degli imbocchi delle gallerie, spesso privati dei più elementari servizi quali acqua, servizi igienici e fognature, infermeria e spacci di vendita.
 

Le prime foto d’epoca della miniera, risalenti agli anni ’60 dell’Ottocento ci documentano la dislocazione sparsa ed isolata dei primi edifici, in cui si individua in posizione baricentrica il nucleo costituito dalla prima casa della Direzione e dall’Officina Meccanica. Inizialmente gli edifici sorsero senza un piano prestabilito, seguendo la dislocazione dei lavori minerari e perciò localizzandosi in prossimità degli spiazzi dove vi erano gli impianti e gli imbocchi delle gallerie. 

Intorno al 1875 si comincia a delineare un grosso nucleo attorno al piazzale Bellavista che accoglie, oltre all’imponente Palazzina sede della Direzione immersa nel verde di un giardino, le strutture dei pozzi Vittorio e la Fonderia del Piombo. La struttura insediativa del centro minerario nasce e si sviluppa secondo criteri di funzionalità e dipendenza dall’attività mineraria, come si può desumere dall’analisi della planimetria redatta dall’Ing. Adolfo Pellegrini nel 1868. La carta, oltre  a mostrare i percorsi delle gallerie interne alle varie quote, localizza anche tutti gli edifici ed impianti esistenti: i Fabbricati Despine (i più antichi, risalenti al 1853) si trovano al centro, proprio al di sopra dell’intrico delle gallerie più antiche; i nuovi pozzi e le laverie, collegati con le gallerie più recenti, sono localizzati più marginalmente. Nel versante meridionale, dove già sorgeva l’antico Fabbricato Nicolay, si affiancano i nuovi edifici delle casserie e della Laveria Nicolay, disposti ad “U” attorno al grande piazzale sul quale prospetta anche la Casa della Maggiorità. Poco distanti, sulla destra si individua la struttura del pozzo Vittorio Emanuele, l’edificio della Forgia e la Casa degli Impiegati; mentre nell’estremità orientale si individua un lungo e stretto caseggiato che ospita l’Ospedale e la Scuderia.

L’Ing. Erminio Ferraris, descrivendo la Miniera di Monteponi nella situazione in cui si trova nel 1907, scriveva: “… Gli edifizi industriali e le abitazioni intramezzate da boschetti e giardini ricoprono la pendice del monte, formando un quadro attraente e pieno di vita. La sommità del monte è divenuta un immenso scavo di circa sei ettari di estensione a forma di cratere; nell’interno, sino al livello del mare, si sviluppano circa settanta chilometri di gallerie ampie e ben areate (…) il tutto è animato dalla presenza di quasi duemila persone e da numerosi motori a vapore, a gas ed elettrici …” .

 

 

Notizie storico-architettoniche del complesso di edifici del Piazzale Villamarina
 

A partire dagli anni Venti-Trenta del Novecento si cerca di dare una sistemazione più organica al compendio minerario realizzando il tracciamento degli assi di collegamento tra  i piazzali e differenziando i percorsi. Il piazzale Villamarina, comincia a specializzarsi come centro dei servizi e attorno all’esistente ospedale viene iniziata la costruzione dell’asilo infantile, della scuola elementare, della mensa, della caserma dei Carabinieri e dell’ex Casa del Fascio (costruita nel 1933, poi trasformata per accogliere la chiesa di S. Barbara).

Negli anni del secondo dopoguerra quasi tutte le opere “assistenziali” dell’insediamento minerario sono state oggetto di un piano di ristrutturazione che ha avuto il suo epilogo in occasione della celebrazione del centenario della Società di Monteponi, nel 1950.

Si provvide alla sistemazione del viale alberato di attraversamento, abbellito con la messa a dimora di alberature ad alto fusto e con la sistemazione di aiuole nel piazzale Villamarina. Il piazzale, attorno al quale si trovano dislocati la gran parte dei servizi collettivi dell’insediamento, viene a caratterizzarsi architettonicamente come il nucleo moderno dell’insediamento, mediante una serie di interventi di ristrutturazione ed ampliamento che interessano tutti gli edifici prospicienti, a partire dalla  realizzazione della guardiola di ingresso, caratterizzata dalla nuova pensilina in cemento armato.

 

L’ospedale

L’edificio fa parte della vecchia struttura nota come “ospedaletto” adibita ad infermeria ed alloggio del personale medico ed in cui, sin dal 1866 prestarono la loro opera le suore di Carità. L’esistenza di “un ben regolato ospedale, quantunque i suoi locali non siano i più opportunamente disposti” è segnalata dal Corbetta; il Capacci riporta la presenza di un ospedale con 24 posti letto e fa riferimento alla cappella annessa alla struttura.

Ben presto la struttura venne trasformata in un ospedale autosufficiente, dotato di 20-30 letti o più a seconda della necessità, provvisto di farmacia. Intorno al 1950, quando la struttura perse di importanza in seguito alla costruzione di altri ospedali ad Iglesias, il vecchio fabbricato è stato ristrutturato con delle modifiche, rese necessarie anche in seguito al crollo del lato nord del vecchio fabbricato, che portò anche alla distruzione della cappella, verificatosi a causa di uno smottamento del terreno. In seguito a questo intervento la struttura ha continuato a funzionare accogliendo una piccola infermeria di 5 letti, l’abitazione delle suore infermiere addette all’Asilo, un moderno gabinetto radiologico, un ambulatorio  ed un armadio farmaceutico.

 

La Caserma dei Carabinieri

La costruzione risale al primo decennio del ‘900, quando venne realizzata per ospitare la caserma dei Carabinieri; negli anni Cinquanta l’edificio ha subito dei lavori di ristrutturazione, nell’ambito del piano globale di “ammodernamento ed abbellimento” che ha interessato la maggior parte dei servizi, in particolare quelli localizzati in prossimità del piazzale di Villamarina. Un progetto relativo all’edificio della caserma è conservato presso l’Archivio Storico del Comune di Iglesias e, benché privo di data, si ritiene risalga ai lavori effettuati in quella occasione . Documenta la nuova disposizione in pianta per entrambi i piani (piano terra e primo piano), l’aggiunta del corpo dei servizi, posto nell’estremità sud-est in continuità con il nuovo porticato sporgente sul fronte, a cui corrisponde una terrazza sulla copertura. Nell’ambito dello stesso intervento, all’edificio è stata addossata in continuità con il corpo dei servizi, la pensilina in c.a. che contrassegna l’ingresso alla miniera dal viale.

 

L’asilo infantile

L’asilo Renzo, intitolato al figlio primogenito di Francesco Sartoris (morto dodicenne), venne realizzato dall’Ing. Ferraris, dietro le insistenza dello stesso Sartoris. La costruzione inizia nel 1919 e viene ultimata entro l’anno, entrando in funzione nel 1920; nel resoconto della visita di ispezione compiuta dall’Ing. Ferrarsi in data 14 Gennaio 1919 è riportato: “ E’ sempre in costruzione l’asilo Renzo sul piazzale dell’Ospedale”. Come gli altri edifici situati sul piazzale Villamarina,  è stato ristrutturato in occasione della celebrazione del Centenario della Società, nel 1950. Alcuni immagini degli anni ’50 mostrano l’asilo immerso nel verde di un giardino, delimitato da un cancello e da un’elaborata balaustra in ferro battuto e ghisa (realizzata nell’Officina Meccanica di Pozzo Sella).

 

Scuola elementare ed Ufficio Postale

L’edificio attuale risale agli anni Cinquanta, come riportato nel libro della celebrazione del Centenario: “Attualmente è in costruzione a Monteponi un fabbricato, espressamente progettato, che accoglierà le scuole elementari in razionali e vasti locali riscaldati a termosifone, con moderna attrezzatura scolastica, e con un’ampia palestra coperta”. Quest’ultimo, comprendente anche i locali dell’ufficio postale, sorgeva ex novo sul luogo di un precedente fabbricato realizzato negli anni Trenta del ‘900 che accoglieva le vecchie scuole elementari. Le piante relative al progetto del nuovo complesso sono conservate presso l’Archivio Storico del Comune di Iglesias.

 

Ex spaccio-mensa

Nel 1893 fu istituita a Monteponi una cucina economica per la refezione degli operai che, successivamente migliorata ed ampliata, dette luogo alla Mensa aziendale, “istallata in ampio ed igienico locale e dotata di moderna cucina con equipaggiamento elettrico”.

L’edificio attuale, risalente alla fine degli anni Venti- Trenta del ‘900 (data e progetto non documentato), ha subito successivi rimaneggiamenti ed interventi di ristrutturazione. Ha funzionato per decenni come mensa operai, con idonei locali di servizio, poi, in seguito alla costruzione della nuova Foresteria (inaugurata in occasione del Centenario della Società) parte dei locali sono stati destinati a spaccio aziendale, gestito successivamente da una cooperativa. Attualmente il fabbricato è ancora in uso ed ospita un punto di ristoro self-service.

 

L’edificio dell’autorimessa

La presenza di un fabbricato sul luogo dell’attuale autorimessa, in prossimità del piazzale Villamarina, adibito prima a scuderia, poi a magazzino, è documentata dalle più antiche planimetrie note; non si è potuto accertare la cronologia degli eventi costruttivi che hanno interessato l’edificio, che ha sicuramente visto più interventi e manomissioni. Nella relazione d’ispezione ai lavori di Monteponi, visita compiuta dall’Ing. Ferraris in data 14 Gennaio 1919 è riportato: “Come nuovi lavori esterni sono da notarsi il rifacimento ed innalzamento dei magazzini sul piazzale. Sono costruiti in cemento armato “ (potrebbe riferirsi allo stabile in oggetto, nella parte che risulta rialzata e relativa ad epoca successiva, poi adibita ad autorimessa?).

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